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il cuoco cucina da schifo, eliminiamo i commensali | Distranoi a Ernesto Galli della Loggia

In riferimento all’articolo pubblicato su il Corriere della Sera 20 Gennaio 2024 “Il dibattito sulla scuola e la sfida dell’inclusione” di Ernesto Galli della Loggia

Dalla padella alla brace, oppure quando la toppa è più grande del buco: il dibattito della scuola e la sfida dell’inclusione.
Avevamo taciuto la prima volta; la seconda, non possiamo. Dobbiamo far sentire la nostra piccola, flebile voce, di chi ogni giorno, con questo mondo – il mondo della scuola e dei bisogni educativi speciali – ci lavora e un po’ di più di questo signore ne sa. La nostra voce, di esperti per esperienza come genitori, insegnanti, professionisti.

L’inclusione a scuola è il tentativo di organizzare spazi, tempi, persone e attività in modo da permettere a ciascuno di partecipare alla vita di classe, traendone quanti più vantaggi possibili dal punto di vista dell’autonomia e dello sviluppo delle proprie abilità (tante o poche che siano), per promuovere l’autodeterminazione e contribuire, secondo le proprie possibilità, al progetto comune.

Inclusione, dal punto di vista prosociale e opportunistico, se vogliamo, è il compito più alto della scuola, che eleva le menti, che migliora le condizioni sociali, che combatte ignoranza e violenza e ammicca al successo di ciascuno e di tutti nella lungimirante visione per la quale, se in una società ci si deve occupare di persone che non sono in grado di fare nulla, respingendo soluzioni che la storia ci ha insegnato essere perdenti, ha costi altissimi e non accompagna verso la possibilità di esprimere al meglio se stessi, privatamente e sulla scena nazionale ed internazionale. E scusate se è poco.

Rispondiamo a questo signore, che evidentemente ha una formazione superficiale rispetto ai grandi temi di cui parla, innanzitutto sbaragliando il campo dalla erronea presentazione delle caratteristiche delle persone con Disturbo Specifico di Apprendimento: il medico interviene nella diagnosi non come attestante una malattia (come sembra voler alludere Galli della Loggia), ma come garante del fatto che le difficoltà che emergono negli apprendimenti di quei soggetti sono derivanti da una neurodiversità non patologica. Per dirla in modo più semplice, il medico interviene per certificare che queste persone stanno benissimo, sono sane, attive, operative. capaci di intendere e volere e con un’intelligenza almeno nella norma, molto spesso superiore alla norma. Hanno solo alcuni disturbi rispetto all’automatizzazione di alcune funzioni che comportano, ad esempio, il bisogno di ripercorrere mentalmente tutto l’alfabeto prima di rievocare come si chiami la lettera che stanno guardando. A fronte di questo, la loro necessità di osservare le cose da punti di vista non convenzionali produce effetti ormai ricercatissimi nel mondo del lavoro e sono ben noti, o bene individuabili, i personaggi con DSA che hanno cambiato la scena sociale mondiale: politici, statisti, imprenditori, artisti.

Per quanto riguarda gli insegnanti di sostegno, condividiamo il fatto che le cose non funzionino benissimo, ma la loro presenza nelle classi non è pensata per “occuparsi dell’alunno con disabilità” mentre i compagni studiano e imparano. La sua presenza, quale insegnante di classel è necessaria per supportare il processo di inclusione, lavorando con la classe e il docente curricolare che a ragione della presenza dell’alunno con caratteristiche diverse devono approcciare studio e socialità in modo sicuramentepiimpegnativo così da rispondere ai bisogni diversi di un gruppo eterogeneo nel quale ogni singolo componente è influenzato dagli altri, abili o con disabilità.

Lasciamo per ultima la considerazione che viene fatta sui bambini stranieri, perché pur avendoci pensato e ripensato non capiamo: Galli della Loggia si chiede e ci chiede se mettendo quattro bambini provenienti da una nazione straniera in una classe di bambini italiani, invece di imparare la lingua, gli stranieri non siano tentati di rimanere tra di loro continuando le loro tradizioni e le loro lingue d’origine senza aprirsi alle nostre. Chiede, il signor Galli della Loggia, se invece di inserirli in classi italiane appena arrivati qui da noi, non sarebbe bene far loro frequentare un corso di italiano di tre mesi, in modo da arrivare nelle nostre classi già in grado di comprenderci e farsi comprendere.

Detta alla bolognese “a iè quel cal tocca” “c’è qualcosa che tocca”, ci chiediamo: se quattro bambini insieme sarebbero tentati di far gruppo tra di loro, mettendone insieme dieci o quindici, non succederebbe la stessa cosa, anzi ancora peggio? L’articolo uscito domenica 21 gennaio sul Corriere della Sera non è certamente stato un articolo di scuse per essersi spiegato male in precedenza. O forse sì. Si era spiegato male rispetto alla sua idea del ritorno alle classi speciali. Con questo articolo si è spiegato meglio e noi la sua idea la respingiamo perché ci porta proprio dove non vogliamo andare.

 

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